Muore in reparto psichiatrico, aveva polsi e caviglie legati.

Questa è una dolorosa dimostrazione della vera funzione della psichiatria, semplicemente un ulteriore esercito a disposizione del potere costituito…

Francesco mastrogiovanni
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Gio, 13/08/2009 – 18:03
autore: anarchico

da Liberazione del 13 agosto 2009
di Daniele Nalbone
Francesco Mastrogiovanni è morto legato al letto del reparto
psichiatrico dell’ospedale San Luca di Vallo della Lucania alle 7.20 di
martedì 4 agosto. Cinquantotto anni, insegnante elementare originario di
Castelnuovo Cilento, era, per tutti i suoi alunni, semplicemente "il
maestro più alto del mondo". Il suo metro e novanta non passava
inosservato. Inusuale fra la gente cilentana. Così come erano fuori dal
comune i suoi comportamenti, «dolci, gentili, premurosi, soprattutto
verso i bambini» ci racconta la signora Licia, proprietaria del
campeggio Club Costa Cilento. E’ proprio lì che la mattina del 31 luglio
decine di carabinieri e vigili urbani, «alcuni in borghese, altri armati
fino ai denti, hanno circondato la casa in cui alloggiava dall’inizio di
luglio per le vacanze estive». Uno spiegamento degno dell’arresto di un
boss della camorra per dar seguito a un’ordinanza di Trattamento
Sanitario Obbligatorio (competenza, per legge, solo dei vigili urbani)
proveniente dalla giunta comunale di Pollica Acciaroli.
Oscuri i motivi della decisione: si dice per disturbo della quiete pubblica.
Fonti interne alle forze dell’ordine raccontano di un incidente in cui,
guidando contromano, alcune sere prima, avrebbe tamponato quattro
autovetture parcheggiate, «ma nessun agente, né vigile, ha mai
contestato qualche infrazione e nessuno ha sporto denuncia verso
l’assicurazione» ci racconta Vincenzo, il cognato di Francesco.
Mistero fitto, quindi, sui motivi dell’"assedio", che getta ovviamente
nel panico Francesco.
Scappa dalla finestra e inizia a correre per il villaggio turistico,
finendo per gettarsi in acqua. Come non bastassero carabinieri e vigili
urbani «è intervenuta una motovedetta della Guardia Costiera che
dall’altoparlante avvertiva i bagnanti: "Caccia all’uomo in corso"»
racconta, ancora incredula, Licia. Per oltre tre ore, dalla riva e
dall’acqua, le forze dell’ordine cercano di bloccare Francesco che,
ormai, è fuori controllo. «Inevitabile » commenta suo cognato «dopo
quanto gli è accaduto dieci anni fa».
Il riferimento è a due brutti episodi del passato «che hanno distrutto
Francesco psicologicamente» spiega il professor Giuseppe Galzerano, suo
concittadino e carissimo amico, come lui anarchico. Il 7 luglio 1972
Mastrogiovanni rimase coinvolto nella morte di Carlo Falvella,
vicepresidente del Fronte universitario d’unione nazionale di Salerno:
Francesco stava passeggiando con due compagni, Giovanni Marini e Gennaro
Scariati, sul lungomare di Salerno quando furono aggrediti, coltello
alla mano, da un gruppo di fascisti, tra cui Falvella. Il motivo
dell’aggressione ce la spiega il professor Galzerano: «Marini stava
raccogliendo notizie per far luce sull’omicidio di Giovanni, Annalisa,
Angelo, Francesco e Luigi, cinque anarchici calabresi morti in quello
che dicono essere stato un incidente stradale nei pressi di Ferentino
(Frosinone) dove i ragazzi si stavano recando per consegnare i risultati
di un’inchiesta condotta sulle stragi fasciste del tempo».
Carte e documenti provenienti da Reggio Calabria non furono mai
ritrovati e nell’incidente, avvenuto all’altezza di una villa di
proprietà di Valerio Borghese, era coinvolto un autotreno guidato da un
salernitano con simpatie fasciste.
Sul lungomare di Salerno, però, Giovanni Marini anziché morire, uccise
Falvella con lo stesso coltello che questi aveva in mano.
Francesco Mastrogiovanni fu ferito alla gamba. Nel processo che seguì,
Francesco venne assolto dall’accusa di rissa mentre Marini fu condannato
a nove anni.
Nel 1999 il secondo trauma. Mastrogiovanni venne arrestato «duramente,
con ricorso alla forza, manganellate, e calci» spiega il cognato
Vincenzo, per resistenza a pubblico ufficiale. Il motivo? Protestava per
una multa. In primo grado venne condannato a tre anni di reclusione dal
Tribunale di Vallo di Lucania «grazie a prove inesistenti e accuse
costruite ad arte dai carabinieri». In appello, dalla corte di Salerno,
pienamente prosciolto. Ma le botte prese, i mesi passati ai domiciliari
e le angherie subite dalle forze dell’ordine lasciano il segno nella
testa di Francesco.
«Da allora viveva in un incubo» racconta Vincenzo fra le lacrime.
«Una volta, alla vista dei vigili urbani che canalizzavano il traffico
per una processione, abbandonò l’auto ancora accesa sulla strada e fuggì
per le campagne. Un’altra volta lo ritrovammo sanguinante per essersi
nascosto fra i rovi alla vista di una pattuglia della polizia ». Eppure
da quei fatti Mastrogiovanni si era ripreso alla grande, «tanto da
essere diventato un ottimo insegnante elementare», sottolinea l’amico
Galzerano, «come dimostra il fatto che quest’anno avrebbe finalmente
ottenuto un posto di ruolo, essendo diciottesimo nella graduatoria
provinciale».
Era in cura psichiatrica ma si stava lasciando tutto alle spalle. Fino
al 31 luglio.
Giorno in cui salì «di sua volontà» sottolinea Licia del campeggio Club
Costa Cilento «su un’ambulanza chiamata solo dopo averlo lasciato
sdraiato in terra per oltre quaranta minuti una volta uscito
dall’acqua». Licia non potrà mai dimenticare la frase che pronunciò
Francesco in quel momento: guardandola, le disse: «Se mi portano
all’ospedale di Vallo della Lucania, non ne esco vivo». E così è stato.
Entrò nel pomeriggio di venerdì 31 luglio per il Trattamento Sanitario
Obbligatorio. Dalle analisi risultò positivo alla cannabis. La sera
stessa venne legato al letto e rimase così quattro giorni. La misura non
risulta dalla cartella clinica, ma è stata riferita ai parenti da
testimoni oculari. E confermata dal medico legale Adamo Maiese, che ha
riscontrato segni di lacci su polsi e caviglie della salma durante
l’autopsia. Legato al letto per quattro giorni, quindi. Fino alla morte
sopravvenuta secondo l’autopsia per edema polmonare.
Sulla vicenda la procura di Vallo della Lucania ha aperto un’inchiesta e
iscritto nel registro degli indagati i sette medici del reparto
psichiatrico campano che hanno avuto in cura Mastrogiovanni. Intanto
oggi alle 18, nel suo Castelnuovo Cilento, familiari, amici e alunni
porgeranno l’ultimo saluto al "maestro più alto del mondo".

Quello che segue è il Comunicato del primo quotidiano e social network di Psichiatria, AipsiMed,  a cura di Enzo Spatuzzi per l´Associazione Italiana Psichiatri, in seguito alla morte di Francesco Mastrogiovanni, detto Franco, e riabilitato dal testo che segue,  addirittura dal titolo di professore, reale.

Un pochino mi sento anch´ io partecipe dell´emersione della
notizia, laddove a Ferragosto è stato tutto un frullare nelle carceri,
di personalità e persone, con i Centri di Identificazione in
ribollimento e certe Corsie dimenticate, quelle che dovrebbero essere
di prevenzione e cura e sono di controllo e per sedare, a volte fino
alla morte, proprio come nel nuovo articolo dove si chiede "Perchè la Salute Mentale è una priorità globale? ", con tanto di punto interrogativo. Nel testo datato 17 agosto, Enzo Spatuzzi conclude con un "
Che Dio ci perdoni.Tutti." Quì , pongo io il punto interrogativo, al
perdono, a chi lo distribuisce, con disinvoltura e maestria. Grazie in
ogni caso a chi ha sollevato il Caso e si è posto degli interrogativi e
non si ferma.

Doriana Goracci

Comunicato dell´AipsiMed sulla morte del prof. Franco Mastrogiovanni nel Spdc di Vallo della Lucania

Vorrei aggiungere ai tanti
pervenuti in questi giorni anche un commento altro, il mio, condito di
qualche riflessione riguardante la tragica e disperata morte del
maestro, insegnante, Franco Mastrogiovanni, avvenuta all´interno del
Servizio di Diagnosi e Cura Psichiatrico di Vallo della Lucania (Sa).

Dei drammatici eventi tutti coloro che sono addentro alle cose
dell´assistenza psichiatrica, anche perché puntualmente aggiornati da
AIPSIMED, sono oramai al corrente, ragion per cui non vi tornerò. Ma
certamente è bene fare anche un po´ l´Avvocato del Diavolo in questo
che pare già esser connotato come un processo scontatamente sommario ai
sette dirigenti medici.

Stavolta, contrariamente all´iconografia ufficiale, questo Diavolo vuol
essere anche un buon diavolo, provando a essere persino equilibrato in
un dibattito processuale che appare senza un contenzioso dibattimentale
di tipo etico e culturale. Ma il Diavolo oggi parlerà da un angolo
visuale un po´ spostato, magari defilato, provando tuttavia ad
allargare maggiormente orizzonti pur di andare a rintracciare cause
anche remote che possono stare dietro e aver persino causato la morte
di Mastrogiovanni.

I colleghi quando si laurearono in medicina e chirurgia pensavano che
"da grandi" avrebbero fatto i medici. I colleghi dopo la
specializzazione in psichiatria hanno affinato la loro preparazione
anche intima, effettuando complessi e complicati percorsi formativi
pensando che da grandi avrebbero fatto gli psichiatri. Nulla di tutto
questo. Sono stati sì assunti dall´azienda sanitaria locale, ma
arruolati con i compiti di psicopolizia, quella funzione che dai
manicomi in poi identifica ancora oggi la tipologia dell´intervento
psichiatrico in specie per le psicosi maggiori.

Di questo sono al corrente anche i tutori dell´ordine che ben
volentieri si fanno affiancare dagli psichiatri territoriali nella
"cattura" delle persone che appaiono di pubblico scandalo e demandano
solo agli psichiatri dei reparti psichiatrici la custodia di quelle
stesse persone e prima ancora che sia stata effettuata una diagnosi
precisa sulle loro vere condizioni clinico-psicopatologiche.

Non solo, ma quegli stessi psichiatri devono anche far passare nel più
breve tempo possibile lo stato psichico che potrebbe aver sotteso
condotte antisociali. E con che? Con gli psicofarmaci in primis, con il
controllo costante da parte di loro stessi e degli infermieri
collaboratori e, estrema ratio, con la contenzione.

Insomma gli psichiatri vanno in guerra all´attacco e non in difesa,
combattendo una battaglia che mai avrebbero voluto condividere e,
soprattutto, vanno in campo con armi giocattolo finendo per tradire
ogni giuramento di Ippocrate. Ma si può?

Uno psichiatra è oggi messo nelle condizioni di non potere attendere la
trasformazione, anche assai favorevole, di uno stato psichico, ma
dev´essere un leguleio conoscitore di quanti minuti bastano per tenere
contenuta una persona. Deve servire, obbedire e combattere senza
disporre neppure di un test sull´alcolemia di cui è portatore la
persona a loro "affidata", ma deve subito sedare con i gravissimi
effetti in termini di interazionepotenziamento dell´alchimia
alcoolpsicofarmaci. Non può subito effettuare un elettrocardiogramma
alla persona che gli portano, visto che per la trafelatezza e la
concitazione dell´intervento, che la persona sia affetta da ipertrofia
del ventricolo sinistro (come in Mastrogiovanni) al mandante del
ricovero pare essere l´ultimo dei suoi problemi. Si dirà: ma per un
medico questo è essenziale! E´ vero. Ma quanti collaborano a che la
persona agitata se ne stia buona buona su un lettino a praticare tutte
le indispensabili analisi emato-cliniche e gli accertamenti diagnostici
strumentali? Bisogna trovarcisi in quelle bolge dantesche chiamate
pronti soccorso all´interno dei quali afferisce tutta un´umanità
dolente (non solo nel corpo) ed uno sparuto di medici annichiliti
dall´angoscia relativa all´improbo compito tenta di rendersi utile
nella sofferenza senza finire sotto inchiesta.

Non ci si vuole dilungare troppo e, si sa, l´unica soluzione per i
medici, per gli psichiatri, consiste nell´attenersi rigidamente a ciò
che attiene all´intervento sanitario delegando ad altre figure ed
istituzioni il controllo del male sociale.

Pare che Mastrogiovanni prima di entrare in S.P.D.C. abbia urlato che
se finiva in psichiatria sarebbe morto. Non sarebbe stato meglio per
lui, oltre che per la sua storia anche politica, una permanenza breve e
solo per accertamenti in una struttura solo investigativa e non
sanitaria e rimandare ad altri momenti l´acquisizione psicodiagnostica
delle cause delle sue angosce di sempre, magari con la costante
presenza di uno psichiatra chiamato in consulenza e solo per
proteggerlo e non per fargli da Caronte o da suo persecutore più o meno
occulto?

La risposta solo è rintracciabile negli intestini d´una legge di
assistenza psichiatrica che non s´è mai voluta interrogare sul suo
mandato e sulla sua vera funzione.

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Enzo Spatuzzi
17 agosto 2009

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