Riceviamo dal collettivo Antonin Artaud di Pisa e molto volentieri pubblichiamo.
Con la pubblicazione di questo racconto il collettivo Antonin Artaud si pone come megafono della storia di una giovane donna che da un momento all’altro ha visto scatenare contro di sé una violenza inaudita da parte della psichiatria.
La ragazza è stata condotta in un reparto psichiatrico contro la sua volontà e contro quella dei suoi familiari, e sottoposta a un bombardamento farmacologico tale da farle rischiare la vita, che le ha provocato danni fisici irreversibili.
Abbiamo deciso di rendere pubblica questa vicenda con l’intento di mettere in luce i veri meccanismi con cui, in pratica, opera la psichiatria e nella speranza che sempre più persone trovino il coraggio di denunciare gli abusi subiti.
Roba da psichiatri
Sono una ragazza di 33 anni ed abito in Versilia.. Nell’ottobre 2005 ho subito un T.S.O.
Alcuni mesi prima mi ero rivolta ad uno psichiatra privato di Massa, il dottor G.A., per un malessere provocato da una serie di eventi stressanti che si erano verificati nella mia vita familiare e lavorativa. Il dott. G.A. mi prescrisse Anafranil 75 mg, 2 compresse al giorno, Lexotan, 20-30 gocce al bisogno. Mi sentivo un po’ meglio ma il Lexotan su di me non aveva effetto: o non avevo bisogno di prenderlo o, se mi trovavo in una situazione che generava preoccupazione, non era efficace. Così nei mesi successivi torno un paio di volte dal dott. G.A. chiedendogli di prescrivermi un ansiolitico diverso. Entrambe le volte mi ha risposto: "No, non cambiamo farmaco, continua a usare il Lexotan, ne puoi prendere anche 50-60 gocce fino a 3-4 volte al giorno se ne senti il bisogno, tanto prima che ti avveleni con il Lexotan ne puoi bere anche 2 boccette". Era presente anche il mio fidanzato ( infatti nei mesi successivi è capitato che anche lui in situazioni emotivamente difficili assumesse Lexotan).
Passa un po’ di tempo, durante il quale io non prendo tutte le gocce che il dott. G.A. mi ha consigliato, perché mi sembra una dose esagerata.
Il 10 ottobre io e mia madre abbiamo una discussione, un chiarimento come succede in tutte le famiglie, niente di particolare: non ci picchiamo, non volano i piatti. In quell’occasione io prendo le 60 gocce di Lexotan e mia madre vedendomi farlo, teme che possano farmi male; io le dico che è stato lo psichiatra. a dirmi che potevo prenderle e lei lo chiama per chiedergli se era vero. Lui per telefono nega, forse rendendosi conto di avermi consigliato una cosa assurda, per evitare una figuraccia. Dice a mia madre che avrebbe mandato il 118 e parlato con il medico dell’ambulanza dicendogli di prescrivermi un altro farmaco, e riaggancia senza darle la possibilità di rispondere.
Dopo 10 minuti arrivano sotto casa mia due ambulanze, una per me e una per mia madre, come spiegato la sera stessa a mia madre da uno psichiatra del reparto. La dott.ssa A.B. di Massa entra in casa parlando al telefono col dott. G.A.; si rivolge a mia madre e a mia nonna in modo aggressivo, ordinando loro di uscire dalla stanza. Io rimango lì, seduta sul divano, mentre la dott.ssa A.B. continua a parlare per telefono con lo psichiatra. Non mi guarda, non mi visita, non mi chiede niente, non mi chiede cosa è successo né come mi sento. Io chiamo mia mamma per chiederle di portarmi il telefono e lei rientra nel salotto. La dott.ssa A.B. la affronta urlando: "Cosa ci fa lei qui, le ho detto di andarsene!" Mia madre si arrabbia e le risponde: "No, a questo punto se ne va lei". La dott.ssa minaccia: "Guardi che chiamo i carabinieri" e mia madre: "No, i carabinieri li chiamo io!", riuscendo a far uscire la dott.ssa. Ma le ambulanze non se ne vanno: rimangono lì, davanti al cancello.
Mia madre, spaventata dall’atteggiamento dei sanitari, chiama un suo conoscente, il maresciallo dei carabinieri L.L., che viene insieme a un collega. Il maresciallo mi propone di chiamare il suo medico di famiglia e io accetto, perché dopo la discussione e la venuta delle ambulanze sono spaventata: il comportamento della dott.ssa A.B. mi aveva terrorizzata. Arriva il medico, dott. G.L. e si rende conto che la situazione non è poi così grave; mi fa mezza fiala di Valium. Mentre il medico mi fa l’iniezione i carabinieri dicono alla dott.ssa A.B. di andarsene perché non c’è bisogno di lei, non c’è bisogno di niente.
Le ambulanze se ne vanno, ma dopo circa 10-20 minuti tornano con un provvedimento A.S.O. (accertamento sanitario obbligatorio) firmato dal sindaco e richiesto dalla dott.ssa A.B., medico non psichiatra (del 118 di Massa, mentre io sono della provincia di Lucca, cioè fuori dalle sue competenza territoriali)
Non c’era l’urgenza di un di fare un A.S.O. altrimenti perché non lo aveva proposto il dott. G.L.? La situazione era calma, io non rifiutavo le cure, il medico era venuto a casa mia facendomi un’iniezione: mancavano le condizioni necessarie per un ricovero ospedaliero.
L’A.S.O. in ospedale verrà trasformato in T.S.O. (trattamento sanitario obbligatorio) con la motivazione di "agitazione psicomotoria". Dopo essere stata portata via da casa con la forza, mentre non stavo facendo niente, da una dottoressa che si è presentata senza essere stata chiamata, "agitazione psicomotoria" è proprio il minimo che potessi avere!
Mia madre non vuole far entrare il personale dell’ambulanza così loro forzano il cancello, entrano con la forza e la legano, braccia e gambe, per impedirle di difendermi. Mia nonna è spaventata e grida, ma un infermiere le dice di stare zitta. La dott.ssa A.B. mi dice che devo seguirla, altrimenti mi avrebbe portata via con la forza. Salgo sull’ambulanza e piango, sono spaventata e piango, dico che voglio dormire , che voglio essere lasciata in pace e voglio dormire. Sull’ambulanza mi viene fatta una fiala di Largactil.
Mi portano in psichiatria, mi lasciano lì e nessuno mi dice niente. Io piango, sono spaventata, sia a causa della scena violenta avvenuta poco prima a casa, sia perché non capisco per quale motivo sono stata portata lì in quel modo, senza aver fatto nulla. Non posso uscire e non so quando potrò uscire. Gli psicofarmaci che ho assunto non mi calmano ed anzi pregiudicano la mia capacità di comprendere quanto sta succedendo così come la mia capacità di esprimermi chiaramente.
Da questo momento non ricordo più niente fino a parecchie ore dopo, quando mi sveglio legata al letto senza sapere il perché e senza neanche il coraggio di chiederlo. Cerco di restare calma; non reagisco, non chiedo niente ed accetto tutto, perché capisco che reagire potrebbe essere pericoloso. Sono terrorizzata. Mi lasciano ancora a lungo legata al letto, fino alla sera, all’orario delle visite, quando mi tolgono le cinghie perché mia madre non mi veda in quel modo. La fanno entrare dopo averle perquisito la borsa, accompagnata da due guardie giurate con la pistola bene in vista.
Mia madre si rivolge subito ad un avvocato ed il 13 ottobre verrò dimessa.
Durante il T.S.O. vengo trattata con psicofarmaci, prevalentemente neurolettici, soprattutto il primo giorno: Largactil, Tavor, Valium, Risperdal, Stilnox….
Naturalmente nessuno si preoccupa di capire se la mia agitazione possa in realtà essere dovuta ai farmaci precedentemente assunti: le benzodiazepine (Lexotan, Valium, Tavor) possono provocare stati d’agitazione e i neurolettici (Largactil, Risperdal) possono anch’essi provocare forti stati di agitazione psicomotoria (acatisia) e addirittura portare a delirio e allucinazioni. Non mi hanno fatto esami del sangue volti a chiarire se la situazione potesse essere dovuta a reazioni paradosso agli psicofarmaci, ma hanno continuato a somministrarmene fino a stendermi.
In reparto dormo costantemente e sbavo continuamente. Nei momenti in cui mi risveglio mi trovo tutti i capelli appiccicati al viso e al cuscino, tutti pieni di saliva.
All’orario dei pasti non mi è permesso alzarmi dal letto per mangiare nella sala, come fanno tutte le altre degenti. Non posso uscire dalla stanza. Solo il quarto giorno, poco prima di essere dimessa, mi viene permesso di pranzare nella sala, così chiedo ad una ragazza come si trovi in quel reparto e lei mi risponde: "E’ come un carcere".
Durante il T.S.O. nessun medico mi visita. La terza sera passa il primario, M.D.F. seguito da altri psichiatri, a cui dice riferendosi a me: "Questa ragazza non ha niente, ha solo litigato con la madre" e passano oltre.
Sempre la terza sera vedo un’altra cosa che mi sembra un po’ strana: passa l’infermiera con il carrello dei farmaci dove ci sono tutti i bicchierini con le pasticche e i nomi delle ricoverate. Dentro i bicchierini c’è sempre lo stesso farmaco in diverse dosi: Risperdal, un neurolettico. Così tutte assumevamo lo stesso farmaco, a prescindere da quali fossero i disturbi lamentati e dal perché ci trovassimo lì.
II quarto giorno, quando vengo dimessa, vengo sottoposta ad un colloquio con la dott.ssa M.G.. Lei mi fa diverse domande e io rispondo con calma. Diversi mesi dopo, quando ritiro e leggo la mia cartella clinica, mi accorgo che lei ha selezionato e strumentalizzato le mie parole, rigirandole in modo da giustificare una diagnosi di disturbo ossessivo compulsivo.
Esattamente in quell’occasione dissi che la mia vita nell’arco dell’ultimo anno era cambiata completamente e che si erano verificate molte situazioni problematiche. Ero costantemente preoccupata, al punto che non riuscivo a smettere di pensare a come avrei potuto risolvere tutte quelle situazioni nuove che si erano presentate: la mia mente era sempre occupata nella ricerca di una soluzione per i miei problemi pratici. Tutti questi problemi mi avevano buttato giù di morale e per questo mi ero rivolta al dott. G.A.. Raccontai di come la meditazione, disciplina che praticavo da anni, mi fosse di grande aiuto in quel periodo. Questa consiste in pratiche di concentrazione volte a calmare il pensiero che è indisciplinato, tendiamo cioè a pensare e reagire in modo automatico secondo modelli precostituiti ed abitudinari. Mediante questo allenamento è possibile imparare a pensare in modo attivo, slegato dai modelli abitudinari di pensieri e reazioni, al fine di risolvere in modo creativo i problemi che si presentano in base alla situazione presente, adottare soluzioni nuove a nuovi problemi, anziché vecchie soluzioni a nuovi problemi.
Leggendo la cartella clinica mi accorgo anche che sugli appunti del 10 ottobre ci sono delle cose che io ho detto il 13 ottobre alla dottoressa M.G.: mi sembra improbabile se non impossibile che io abbia detto le stesse cose e con le stesse parole in due momenti diversi.
Vengo dimessa con un prescrizione di Risperdal, 7,5 mg al giorno, un dosaggio anche abbastanza alto di un farmaco pericoloso, che tra l’altro non è neanche adeguato alla diagnosi (di un disturbo che non ho!). Naturalmente non vengo avvertita dei rischi, non mi viene data alcuna informazione sul farmaco, che mi viene consegnato direttamente dalla dott.ssa e dalla cui confezione manca il foglietto illustrativo.
Sempre al momento della dimissione vengo informata, insieme a mia madre e al mio fidanzato, che mi è stata fatta una puntura e che dovrò tornare lì a ripeterla. Tale iniezione nella cartella clinica non è stata annotata!
Subito prima di essere dimessa viene a parlarmi anche il primario: dice di aver litigato per telefono con il dott. G.A. e che non devo prendere mai più Anafranil, che DEVO scegliere uno psichiatra della struttura e andare lì a curarmi. Dice che DEVO prendere assolutamente il Risperdal (strano perché la sera prima aveva detto che io non avevo niente!). Mi parla con un tono di voce piuttosto autoritario, ripetendo le cose più volte come se si rivolgesse ad una persona che non capisce, mentre io ero solo intontita dai farmaci. Dice al mio fidanzato che non deve farmi tornare a casa, che deve tenermi lontano da mia madre e che se non si prende questa responsabilità non mi faranno uscire (ma che ne sa dei miei rapporti con mia madre, visto che non aveva mai parlato né con me né con lei?).
Tornata a casa sto molto male, sia a causa della violenza subita, sia a causa dei farmaci che continuo a prendere credendo di averne bisogno.
Sbavo, non riesco a parlare correttamente, quando cammino inciampo spesso e cado; incontinenza, insensibilità al dolore, la luce mi da fastidio e i miei sensi sono ovattati; mi viene febbre e una bronchite che durerà fino alla metà dell’estate 2006. Non riesco a far niente, non trovo la forza di alzarmi dal letto, vestirmi e uscire; non riesco più a pensare in modo attivo, ad applicarmi nella ricerca di soluzioni pratiche ai miei problemi quotidiani. Non riesco a concentrarmi su niente, a leggere e neanche a guardare programmi televisivi. Piango spesso, perché la mia vita è completamente cambiata in modo violento e improvviso in seguito al T.S.O.. Ho delle macchie marroni nell’occhio destro e tutta la parte sinistra del viso è eccessivamente rilassata e cadente, mentre la parte destra è contratta; ho spasmi intorno agli occhi e quando parlo storgo la bocca verso destra.
Stavo sempre peggio e non avevo idea che quelli fossero effetti collaterali del Risperdal che provoca ansia, tristezza, sofferenza interiore molto forte e mancanza di voglia di agire.
Ho continuato a prendere il Risperdal per circa 1 mese.
Durante questo periodo il mio fidanzato, vedendo che stavo peggiorando a vista d’occhio, si rivolse al reparto per chiedere cosa dovevo fare, ma venne fermato da un infermiere che gli disse: "Non la riportare assolutamente qui, perché te la ricoverano di nuovo e alla fine te la rovinano del tutto".
Dopo un mese trovo un libro, "Chimica per l’anima", capisco cosa sono i neurolettici e interrompo di colpo e di mia volontà l’assunzione del Risperdal.
Stavo molto male e mi ero rivolta nuovamente al dott. G.A. Nella confusione dell’accaduto e a causa dei farmaci che limitavano la mia capacità di comprensione degli eventi, non avevo capito che era stato lui a farmi ricoverare, io credevo fosse stata la dott.ssa A.B.
Ci torno diverse volte e lui cerca di mettere me e il mio fidanzato contro mia madre e il mio fidanzato contro di me. Ci fa credere che la dott.ssa A.B ha richiesto l’ASO a causa del comportamento di mia madre. Continua a insistere sia con me che con il mio fidanzato che è mia madre la causa del mio malessere, che mi avrebbe rovinato la vita (cosa che diceva spesso anche prima del T.S.O.) e che è lei che deve essere curata.
Insiste così tanto che alla fine io e il mio fidanzato convinciamo mia madre a fare una visita con lo psichiatra che ci consiglia: un certo dott. B.A. Mesi dopo leggerò sulla mia cartella clinica il nome dello psichiatra che ha richiesto il T.S.O. mentre ero in reparto: il dott. B.A., lo stesso amico del dott. G.A. da cui avevamo portato mia madre! Ripensandoci, ricordai come tale dott. B.A. durante la visita con mia madre sembrasse molto imbarazzato: io non lo avevo riconosciuto, ma lui probabilmente si ricordava di me.
Il dott. G.A. insisteva anche su un’altra cosa: io dovevo andare via da casa di mia madre. Cercava di convincere il mio fidanzato a vendere la sua casa a Massa per prenderne una per me ad Ortonovo, dove lui, così disse, aveva il controllo del 118. Gli disse letteralmente: "Così, se la porta ad Ortonovo, ce l’ho sotto la mia cappella"; questo potrebbe anche significare "sotto il mio controllo", ma è anche un doppio senso osceno perché in dialetto cappella significa glande. Mi soffermo su questo particolare poiché lo psichiatra mi aveva già fatto domande strane in passato, del genere "Ma tu desideri il tuo fidanzato? Non è che hai fantasie sessuali verso uomini più anziani di te, figure paterne, che ti diano un senso di autorità e potere?". Queste cose le avevo anche riferite al mio fidanzato, ma lui, plagiato com’era, mi rispondeva che secondo lui erano domande normali, che ero io a trovarle strane "Perché mi fisso, perché sono ossessiva compulsiva", come gli aveva insegnato a dire il dott. G.A..
Il mio ragazzo era preoccupato per me e lo aveva chiamato per telefono diverse volte, a mia insaputa, chiedendogli cosa poteva fare per me, come mi poteva aiutare (io piangevo sempre ma lui non poteva sapere che la causa erano i neurolettici). Egli gli aveva risposto che lui non poteva fare niente per me, "Che la cosa migliore era lasciarmi nelle sue mani, perché solo lui poteva curarmi, perché io ero gravemente malata e non mi rendevo conto della mia malattia. La scelta migliore sarebbe stata lasciarmi, altrimenti io avrei rovinato anche la sua vita, tanto oramai io non sarei stata più bene, sarei costantemente peggiorata, e le persone malate di mente distruggono la vita a chi gli sta vicino."
L’ultima volta che vado dal dott. G.A, c’è una signora in sala d’aspetto: è in cura da lui da 10 anni con psicofarmaci neurolettici; racconta diverse cose sulla sua vita e su come l’ha curata il dott. G.A.. Sembra innamorata di lui! Quando il dottore arriva io, già insospettita dalle parole di questa donna, noto che i due hanno un modo di parlare strano, eccessivamente confidenziale, come se ci fosse tra loro qualcosa che va al di là del normale rapporto che si instaura tra un medico e una paziente. Quindi collego diverse cose tra loro e quando parlo col dottore porto il discorso sul T.S.O., fingendo di incolpare mia madre e conducendolo così ad ammettere che era stato lui a farmi finire in psichiatria: lo ammette sia davanti a me, sia poco dopo, quando faccio entrare mia madre.
Racconto tutto al mio fidanzato e decido di non tornare più a quelle visite: il mio fidanzato, convinto dallo psichiatra durante una telefonata avvenuta subito dopo quest’ultima visita, mi lascia e rimaniamo separati per alcuni mesi. Diversi mesi dopo, quando il mio fidanzato capisce cosa era successo veramente telefona di nuovo al dott. G.A. dicendogli: "Ma cos’ha fatto! Ha fatto il TSO alla mia ragazza e le ha rovinato la vita. Ha rovinato anche il nostro rapporto, per colpa sua ci siamo lasciati". Il dottore gli rispose con un tono di presa in giro: "Oh, mi dispiace, mi scusi", Il mio fidanzato gli disse: "Ma guardi che noi la denunciamo" e G.A. rispose: "Fate pure. Tanto io sono una persona potente e la sua ragazza l’ho fatta passare per matta e nessuno le crederà mai.".
Mi rivolsi ad un altro psichiatra raccontandogli di stare male a causa del TSO: questo faceva finta di credermi ma non mi credeva. Stavo molto male: tutto quello che era accaduto era stato un grande trauma e la mia vita era completamente cambiata. Malgrado l’abuso subito non mi rendevo conto di quanto fosse pericoloso il mondo della psichiatria e continuavo a pensare che con me avevano commesso un errore, che avevo incontrato gli psichiatri sbagliati, che si era verificato un malinteso iniziale che aveva portato al disastro. Continuavo a cercare lo psichiatra giusto, il farmaco giusto.
Le umiliazioni che ho subito da parte dei medici sono innumerevoli: concludevano tutti che se mi avevano fatto il TSO e dato i neurolettici voleva dire che ero malata. Partivano da questo pregiudizio e non c’era assolutamente nessun modo di spiegare come erano andate le cose. Mi prescrivevano sempre nuovi farmaci: Cymbalta, Anafranil, Nopron, Tavor, Valium, Xanax, Lamictal,…. Si verificavano continuamente incomprensioni ed equivoci che potevano espormi al rischio di altri trattamenti dannosi e non necessari.
Questo è continuato fino all’agosto 2006. In quel periodo ero ormai convinta che non sarei mai più stata serena e felice, che la mia vita era finita e che tutto ciò che mi rimaneva era soffocare la mia sofferenza attraverso il Tavor che mi permetteva di sopravvivere, almeno finché avesse funzionato.
Ho cominciato ad informarmi a proposito dei farmaci attraverso internet e mi sono resa conto che abusi come quello che avevo subito io, o anche peggiori, succedono continuamente in psichiatria. Ho visto come molte persone stiano male a causa degli psicofarmaci. Attraverso un libro sono venuta a conoscenza della storia della psichiatria, della sua ideologia e dei metodi brutali da essa adottati nel corso dei secoli.
È stato uno shock, piangevo continuamente. È stato come se, oltre alle mie sofferenze, mi fossero piombate addosso anche quelle di milioni di persone danneggiate dalla psichiatria nel corso dei secoli e nel presente.
Un medico a cui ho raccontato l’abuso subito mi ha creduto. Gli dissi che volevo smettere gli psicofarmaci perché non volevo più assolutamente avere contatti con la psichiatria così mi ha fatto uno schemino per scalare i farmaci.
Smettere i farmaci è stato come un salto nel buio, perché avevo paura di averne bisogno, ma a quel punto la mia convinzione era che se tanto dovevo stare male, potevo farlo benissimo anche senza psicofarmaci e senza psichiatria. Invece con il passare dei mesi sono stata progressivamente meglio: non sono più triste né disperata né spaventata né ansiosa e non penso più che la mia vita sia finita.
Psicologicamente sto bene. Soprattutto non sono più drogata dai farmaci, ho recuperato la mia lucidità così come la mia capacità di interpretare correttamente gli eventi e il mio autocontrollo. Ho ricominciato a vivere e a coltivare i miei interessi e adesso ho tantissimi amici che mi stimano e che, conoscendomi bene, non riescono a comprendere come sia potuta accadere a me questa vicenda così assurda. Anche il rapporto con il mio fidanzato, che il dott. G.A.. aveva rovinato, è tornato soddisfacente, grazie alla mia determinazione di far chiarezza sull’accaduto e di riprendere in mano la mia vita.
Comunque a distanza di 2 anni dal T.S.O. continuo a soffrire di movimenti involontari del volto e talvolta anche degli arti che sono stati causati dai neurolettici. Spesso, a causa di questi spasmi, mi mordo l’interno della bocca durante la masticazione, procurandomi ferite. Inoltre rischio di soffocare, poiché cibi e pasticche mi vanno per traverso, a causa della riduzione della capacità di controllare i miei movimenti volontari.
I medici che mi hanno visitato per questi disturbi mi hanno detto che molto probabilmente oramai non passeranno più. Discinesia tardiva e distonia tardiva. Non esistono neanche cure specifiche per ridurre questi movimenti che sono molto fastidiosi, insistenti e accompagnati da dolore tipo nevralgia.
Questi spasmi rendono tutte le mie ore di veglia senza pace, senza riposo; danneggiano la mia immagine e mi è molto più difficile trovare un lavoro (io ho lavorato in un negozio ed ho esperienza come commessa): molte persone a cui mi sono proposta, vedendo le smorfie sul mio volto, mi hanno trattato con eccessiva gentilezza, una gentilezza compassionevole, dopo di che non mi hanno richiamato.
Magari molte persone mi potrebbero giudicare "malata psichica" a causa di questi movimenti, non sapendo in realtà che sono stati i farmaci a provocarli; e poi anche qualora lo sapessero penserebbero che siccome ho preso i farmaci probabilmente ne avevo bisogno.
MA NON SONO IO A DOVERMI VERGOGNARE PER QUESTA FACCIA DA MANICOMIO!
Ciò influenza negativamente la mia vita sociale e lavorativa, presente e futura, nonché la qualità della mia vita. La meditazione, che io praticavo da moltissimi anni e che era per me un elemento di arricchimento, non potrò più praticarla a causa di questi spasmi. Così come non potrò più coltivare un’altra delle mie passioni, lo snorkeling, non potendo sopportare la maschera sul volto ed avendo perso, dopo il T.S.O., la capacità di nuotare.
LA MIA VITA È COMPLETAMENTE CAMBIATA, CAMBIATA PER SEMPRE. HO UN DANNO PERMANENTE, PERCHÈ? PERCHÈ MI HANNO "CURATO" CONTRO LA MIA VOLONTÀ!!!
Anche per cercare di capire cos’era questo disturbo ho dovuto subire moltissime umiliazioni dai medici. Mi sono rivolta a diversi neurologi e ne ho dovuti girare parecchi prima di trovarne uno disposto a fare gli accertamenti. Uno di loro, dopo cinque minuti, sulla base del fatto che avevo preso per un periodo antidepressivi e per un altro neurolettici, mi chiese se avevo il disturbo bipolare! Ad un altro, che mi aveva fatto la stessa scena, chiesi come si fosse permesso di farmi una diagnosi dopo 5 minuti solo basandosi sui farmaci che avevo preso e senza considerare che il TSO era stato un errore. Mi rispose che se me lo avevano fatto sicuramente avevano ragione, "Sono sicuro che lei è matta e che di TSO gliene faranno ancora tanti nella vita, anzi se non se ne va glielo faccio fare io".
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La psichiatria ti toglie la dignità.
Ti possono fare veramente di tutto perché sanno che non puoi difenderti. Tutto quello che dici o che fai non ha più alcun valore, anzi tutto viene strumentalizzato per essere usato contro di te, come ulteriore prova della tua "malattia mentale". I trattamenti ti possono venire imposti con la forza e tu non li puoi discutere né rifiutare, perché questo è considerato rifiuto della terapia e ulteriore segno di "malattia mentale". Non puoi dire che un determinato farmaco ti fa male perché sei considerato "malato mentale" e quindi non in grado di capire di cosa hai bisogno (come se potessero sapere meglio di te come ti senti!). Se poi dici che non sei malato di mente ma che stai male per qualche situazione contingente allora sei ancora più grave perché non ti rendi conto della tua "malattia". La tua vita non ti appartiene più e se subisci delle violenze queste non sono poi così facili da dimostrare, perché sei screditato, perché sei considerato il "matto" che va a raccontare di aver subito un ingiustizia da parte del suo psichiatra, il quale è considerato autorevole, attendibile e di indubbia moralità. Il tuo "delirio di persecuzione" sarà un ulteriore prova della gravità della tua "malattia", un’ulteriore scusa per sottoporti a ulteriori trattamenti.
È facile entrare in questo meccanismo anche per cose banali e rimanere coinvolti in un susseguirsi di circostanze da cui si potrebbe anche non uscire mai più, anzi da cui spesso non si esce mai.
Quando dobbiamo superare momenti difficili della vita, la società, le persone che ci stanno vicine, le opinioni autorevoli ci insegnano che si può ricorrere all’aiuto di uno psichiatra e degli psicofarmaci, per superare il periodo. Ci viene insegnato che le emozioni negative sono malattie, non normali risposte dell’uomo agli eventi esterni. Ci viene insegnato che si deve essere sempre contenti e soprattutto attivi, tirare avanti in qualsiasi circostanza ed essere come gli altri ci vogliono altrimenti siamo "malati" e ci si deve rivolgere ad uno psichiatra.
LE EMOZIONI NEGATIVE NON SONO MALATTIE.
L’abuso psichiatrico è una violenza che investe il soggetto in tutti i piani dell’essere: fisico, mentale, sociale, emotivo, etc.. Penso che sia una delle esperienze peggiori che si possono fare nella vita. È una totale privazione del diritto di gestire la propria vita; è peggio del carcere: non si è accusati di un reato ma di un pensiero, non c’è un processo, non si ha diritto ad una difesa.
Loro vogliono chiamarsi medici dell’anima ma sono come poliziotti della mente. IL LORO FINE NON E’ IL BENESSERE DEL PAZIENTE, MA IL CONTROLLO E LA REPRESSIONE DELLE MANIFESTAZIONI ESTERNE DELLE SUE SOFFERENZE.
Ascoltano i loro pazienti a partire da una diagnosi fatta superficialmente e questa diagnosi costituisce un pregiudizio, perché non si può assolutamente "vedere" chi ci sta davanti quando partiamo dalla convinzione che ogni pensiero e ogni comportamento siano frutto di un processo psicopatologico.
GLI PSICHIATRI PRESCRIVONO TRATTAMENTI CHE DISTRUGGONO FISICAMENTE I PROPRI PAZIENTI E LO FANNO CONSAPEVOLMENTE !!!
LORO, SONO “SANI DI MENTE” ?!